Koreja Magazine: Il miracolo della semplicità


KOREJA MAGAZINE

Il miracolo della semplicità
Aida project. Intervista a Elena Bucci

a cura di Eleonora Tricarico

AIDA, un progetto alla ricerca dell’identità comune. Come si può descrivere la fase sviluppata insieme?
Il lavoro in occasione del progetto AIDA è stato estremamente emozionante e ricco. Ancora una volta il potere del teatro, innestato su una realtà virtuosa come quella di Cantieri Teatrali Koreja, ha dato i suoi frutti. Persone e saperi, compiti e piaceri, vita quotidiana e vita artistica, pensiero, creazione, organizzazione e comunicazione con il pubblico si sono amalgamati con singolare armonia, rispettando le caratteristiche meravigliose della terra di origine e aprendo lo sguardo al mondo.
Ci siamo ritrovate a respirare e a creare insieme con molta naturalezza, confermando quanto la frequentazione e le esperienze vissute con intensità e reciproca partecipazione possano creare un terreno fertile per nuove fioriture.

In virtù dell’attuale situazione, vi è stata una discrepanza tra l’idea iniziale e quella sviluppata sul palco dei Cantieri Teatrali Koreja, come avete affrontato il cambiamento?
Abbiamo accolto come elemento di ispirazione le difficoltà del momento presente. La pandemia e l’emergenza sanitaria ci hanno privato dei teatri, del pubblico, del nostro abituale ruolo all’interno della comunità, ma allo stesso tempo ci hanno consegnato il compito prezioso e insostituibile di trasformare la paura in energia, la tentazione alla chiusura in solidarietà, la solitudine in raccoglimento pronto ad aprirsi a nuovi progetti. Ci siamo trovati a considerare altri mezzi di comunicazione con il pubblico, a studiare come tradurre in video il nostro lavoro in teatro, a scoprire come e quanto possiamo trasmettere emozione attraverso i media, la scrittura, la fotografia, il cinema. Ci siamo interrogate se e quanto debba trasformarsi l’arte della recitazione per adattarsi a questi mezzi di comunicazione e abbiamo immaginato nuove forme di spettacolo che raccontino anche a un pubblico distante e disabituato la bellezza e il fascino del lavoro creativo.

Su cosa si è concentrato, in particolare, il vostro lavoro?
Abbiamo lavorato intorno al pensiero e alla pratica dell’autenticità e della qualità, concetti e risultati assai difficili da definire e raggiungere. Abbiamo convenuto e messo in prova il fatto inequivocabile che la loro ricerca garantisce il passaggio dell’emozione, almeno in parte, attraverso qualsiasi mezzo.
Nel nuovo silenzio delle clausure, nel recinto delle limitazioni e nell’obbligo alla distanza abbiamo riscoperto il calore della vita comunitaria e dell’empatia, la fortuna di avere un teatro a disposizione
per lo studio, la preziosità di ritrovare il tempo del pensiero, della riflessione, della scrittura.
Abbiamo subito ritrovato la capacità di ascolto e reazione del gruppo che facilita lo slancio creativo del singolo già sperimentata nel corso del lavoro precedente e l’abbiamo approfondita cercandone tutte le possibili sfumature al presente.
Abbiamo sentito la necessità naturale di praticare tutti i linguaggi e di mescolarli, allenandoci a non porci barriere mentali ma lasciandoli scivolare gli uni negli altri: canto, danza, scrittura, dialetti,
lingue di origine, lingue straniere e inventate sono diventate l’idioma condiviso di questa compagnia.
Abbiamo aperto i nostri quaderni di appunti comunicandone il contenuto e trasformandolo.

Elena Bucci è un nome noto e un punto di riferimento sia a livello nazionale che a livello internazionale. Inoltre, anche un richiamo importante quando si parla di “Heroides”, il lavoro sviluppato in precedenza con il direttore artistico di Koreja, Salvatore Tramacere. Quanto ciò ha influenzato gli approcci futuri?
Ho invitato e incoraggiato le attrici autrici a sentirsi Heroides, eroine della contemporaneità che non scrivono soltanto agli amati, ma a tutto il mondo.
Ne sono usciti racconti che ho trovato molto originali e sinceri e allo stesso tempo pieni di potenzialità drammaturgiche.
Ho definito così, con indicazioni diverse per ogni autrice, alcuni percorsi di studio che potranno essere realizzati sia singolarmente, sia intrecciati gli uni agli altri.
Abbiamo tracciato una mappa di racconti sospesi tra invenzione e autobiografia che potranno espandersi in molteplici direzioni sviluppando la speciale qualità che abbiamo afferrato che ci ha permesso di ridere fino alle lacrime e poi commuoverci, sentendo con forza la funzione catartica del teatro e la sua capacità di generare immagini e scritture che, partendo dal particolare, diventano storia di tutti.
Qualcuno ha cominciato una ricerca sulle origini del linguaggio e degli alfabeti comparando più lingue praticate e amate, sia nella vita che nel teatro, ricavandone un racconto imprevedibile, qualcuno ha disegnato un ritratto tragico e comico di una giovane artista in cerca di lavoro, qualcuno ha sfiorato il mistero del silenzio e della parola ritrovando racconti del passato, qualcuno ha scritto e agito il mistero dell’attesa e dello sguardo poetico che diventa scrittura, qualcuno ha rivissuto attraverso figure mitiche drammi e paure personali e universali. Nello spazio vuoto, con l’aiuto di pochissimi elementi, ho visto disegnarsi il potenziale di molti inaspettati spettacoli.
Ho invitato le artiste a prendere nota di ogni momento di studio e di pensiero facendone un diario aperto da consultare, approfondire, continuare e le ho invitate a portare a termine, anche in differenti esiti e direzioni, la drammaturgia d parole, gesti, silenzi, canti che abbiamo cominciato insieme.
Non vedo l’ora di tornare ad incontrarle, mentre continuiamo a vivere il regalo di quei giorni magici attraverso lettere, lavoro, pensieri che si intrecciano a distanza, facendoci sentire vicine e parte della infinita tribù viaggiante del teatro.

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