ANTIGONE
da Sofocle
NUOVA EDIZIONE 2025
regia Elena Bucci
con la collaborazione di Marco Sgrosso
progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
con Elena Bucci (Antigone, Tiresia) Marco Sgrosso (Creonte) Francesca Pica (Corifea) Nicoletta Fabbri (Ismene/Coreuta) Valerio Pietrovita (Emone/Guardia/Coreuta)
disegno luci Loredana Oddone - cura e drammaturgia del suono Raffaele Bassetti - spazio scenico Elena Bucci - costumi Marta Benini ed Elena Bucci
produzione Le belle bandiere con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi
ispirata allo spettacolo ‘Antigone - una strategia del rito’ prodotto dal Centro Teatrale Bresciano nel 2012
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Ritroviamo la vitalità cruda e avvincente di questo testo a distanza di anni dal primo emozionante allestimento. Lo affrontiamo con lo stesso stupore e la stessa meraviglia di allora: queste pagine ci parlano dal passato come se fossero pensate per noi, ora. Non ci spaventa affrontarle con un’età diversa da quella dei personaggi: sono maschere che possiamo indossare tutti, in ogni tempo, per comprendere con il cuore quello che a volte la coscienza non vuole o non sa accettare, come le differenze di sentire e di pensiero o il cammino verso la perdita della libertà e la tirannia.
Il nucleo della tragedia di Sofocle oppone le ragioni di Antigone a quelle di Creonte, suo zio e nuovo re di Tebe, innescando una serie di domande e questioni che sono ancora le nostre. Secondo la legge, in seguito all’esilio di Edipo, i suoi due fratelli Eteocle e Polinice, dovrebbero alternarsi di anno in anno alla guida dello stato, ma allo scadere del suo primo mandato, Eteocle rifiuta di cedere il trono a Polinice, che si ribella e dichiara guerra alla città. I due fratelli si affrontano, morendo l’uno per mano dell’altro.
Creonte, divenuto re per linea di sangue ma senza volerlo, decreta che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, mentre il corpo di Polinice – reo di avere attaccato la sua stessa terra - resti insepolto. Antigone si oppone, per amore di sorella e per un sentimento di pietà che va oltre le leggi degli uomini. Si generano a catena tutti gli altri contrasti: tra le sorelle Antigone e Ismene, che pur amandosi, sono una votata alla morte e l’altra affamata di vita; tra Creonte, padre amoroso e sovrano intransigente, ed Emone figlio rispettoso ma ribelle in nome dell’amore e della volontà del popolo; tra Creonte, invasato fino alla cecità nella difesa di un’idea di governo che con la pretesa della giustizia sfocia nella tirannia e il profeta Tiresia, che pur non avendo la vista è maestro di visioni limpide e terribili che potrebbero salvare la città.
Cerchiamo di comprendere le ragioni di ognuno, cambiando i punti di vista, astenendoci dal giudicare prima di avere ascoltato, sentito, riflettuto, sia con il pensiero che con gli strumenti del teatro, tanto abili a distillare le sfumature dei sentimenti. Rileggere la tragedia è anche un tentativo di ritrovare le fonti di un pensiero etico e politico che pare sbiadirsi di giorno in giorno e di tornare a riflettere sul mito come strategia di condivisione di emozioni e di pensiero che unisce gli uomini e crea una comunità aperta, libera e solidale.
Mettiamo in relazione movimento e danza, suono cantato e parlato, maschera e volto, cercando di immaginare un linguaggio sconosciuto dove musica, parola e gesto erano intrecciati.
Negli abiti restano tracce del tempo passato dall’antichità ad ora e delle molte riletture del mito: un cilindro, una giacca rossa, un mantello nero, le maschere. Gli attori scivolano da un piano all'altro e da uno stile all’altro in cerca di una scrittura scenica che ritrovi i molti linguaggi che abbiamo a disposizione per pronunciare la parola ‘no’, quando è necessario, di fronte alla volontà di chi detiene il potere.
Il Coro – testimone e giudice - si muove come un corpo di ballo al ritmo di una tessitura sonora che avvolge anche il pubblico che diventa parte dell’assemblea civile e assiste alla veglia di Antigone per il fratello Polinice e ai duelli dolorosi e violenti tra i personaggi, diventando protagonista di una ricerca della matrice del futuro nell’antichità. Mentre ci aggiriamo tra le rovine della città antica comprendiamo sotto altra luce le laceranti guerre del presente. Quando tutto è compiuto, risuonano come un balsamo le parole di Sofocle che invocano la saggezza e la riconciliazione, una via di salvezza a tutti aperta.
Il nucleo della tragedia di Sofocle oppone le ragioni di Antigone a quelle di Creonte, suo zio e nuovo re di Tebe, innescando una serie di domande e questioni che sono ancora le nostre. Secondo la legge, in seguito all’esilio di Edipo, i suoi due fratelli Eteocle e Polinice, dovrebbero alternarsi di anno in anno alla guida dello stato, ma allo scadere del suo primo mandato, Eteocle rifiuta di cedere il trono a Polinice, che si ribella e dichiara guerra alla città. I due fratelli si affrontano, morendo l’uno per mano dell’altro.
Creonte, divenuto re per linea di sangue ma senza volerlo, decreta che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, mentre il corpo di Polinice – reo di avere attaccato la sua stessa terra - resti insepolto. Antigone si oppone, per amore di sorella e per un sentimento di pietà che va oltre le leggi degli uomini. Si generano a catena tutti gli altri contrasti: tra le sorelle Antigone e Ismene, che pur amandosi, sono una votata alla morte e l’altra affamata di vita; tra Creonte, padre amoroso e sovrano intransigente, ed Emone figlio rispettoso ma ribelle in nome dell’amore e della volontà del popolo; tra Creonte, invasato fino alla cecità nella difesa di un’idea di governo che con la pretesa della giustizia sfocia nella tirannia e il profeta Tiresia, che pur non avendo la vista è maestro di visioni limpide e terribili che potrebbero salvare la città.
Cerchiamo di comprendere le ragioni di ognuno, cambiando i punti di vista, astenendoci dal giudicare prima di avere ascoltato, sentito, riflettuto, sia con il pensiero che con gli strumenti del teatro, tanto abili a distillare le sfumature dei sentimenti. Rileggere la tragedia è anche un tentativo di ritrovare le fonti di un pensiero etico e politico che pare sbiadirsi di giorno in giorno e di tornare a riflettere sul mito come strategia di condivisione di emozioni e di pensiero che unisce gli uomini e crea una comunità aperta, libera e solidale.
Mettiamo in relazione movimento e danza, suono cantato e parlato, maschera e volto, cercando di immaginare un linguaggio sconosciuto dove musica, parola e gesto erano intrecciati.
Negli abiti restano tracce del tempo passato dall’antichità ad ora e delle molte riletture del mito: un cilindro, una giacca rossa, un mantello nero, le maschere. Gli attori scivolano da un piano all'altro e da uno stile all’altro in cerca di una scrittura scenica che ritrovi i molti linguaggi che abbiamo a disposizione per pronunciare la parola ‘no’, quando è necessario, di fronte alla volontà di chi detiene il potere.
Il Coro – testimone e giudice - si muove come un corpo di ballo al ritmo di una tessitura sonora che avvolge anche il pubblico che diventa parte dell’assemblea civile e assiste alla veglia di Antigone per il fratello Polinice e ai duelli dolorosi e violenti tra i personaggi, diventando protagonista di una ricerca della matrice del futuro nell’antichità. Mentre ci aggiriamo tra le rovine della città antica comprendiamo sotto altra luce le laceranti guerre del presente. Quando tutto è compiuto, risuonano come un balsamo le parole di Sofocle che invocano la saggezza e la riconciliazione, una via di salvezza a tutti aperta.
foto Piero Casadei
foto Enrico Nensor