CANTO ALLE VITE INFINITE
di e con Elena Bucci
musiche originali al pianoforte e alla fisarmonica Christian
Ravaglioli
luci Loredana Oddone - drammaturgia e cura del suono Raffaele Bassetti - collaborazione al progetto Nicoletta Fabbri - scena Elena Bucci, Loredana Oddone - costumi Marta Benini - foto Luca Bolognese, Stefano Binci, Dorin Mihai - documentazione video Stefano Bisulli, Nicoletta Fabbri
produzione Le belle bandiere
in collaborazione con Armunia, Fondazione Teatro Rossini, Ravenna Festival
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Russi
debutto: 30 maggio 2023, Teatro Sybaris, Castrovillari (CS) nell’ambito di ”Primavera dei teatri”
adattamento
n. 2: 28 giugno 2024, Anfiteatro Scabia, Castello Pasquini,
Castiglioncello (LI), nell’ambito del “Festival Inequilibrio” a cura di
Armunia
Sembro sola, ma sono circondata da una
miriade di amabili fantasmi che chiedono di essere raccontati. Se non lo
faccio io chi mai lo farà? Mi fermano l’auto, mi tirano per la giacca,
si intromettono, pretendono: racconta di me, se non lo fai tu, chi mai
lo farà? E se muori prima? Chi si ricorderà di me? So che non potrò mai
raccontarli tutti, ma visto che ho cominciato, dovrò pure continuare. E
infatti, gridano in coro. Mi fanno piangere e mi fanno ridere. Delle
tragedie non si ride, ma nelle tragedie ridere si può.
Siamo in un
palazzo abbandonato, in una vecchia casa di campagna, in una palude di
Romagna tra acqua e cielo, in una grande città, dentro un sogno o
un’anima, sopra un albero incantato o nel giardino dei poeti. Coloro che
sono chiamati vecchi, invisibili e dimenticati, siedono ad un posto
d’onore e quando parlano conviene ascoltare, perché ne sanno, di vita,
eccome.
Possiamo incontrare una novantenne dall’anima di bambina,
un cineamatore a cui sfugge la realtà, una formidabile donna
cantastorie, un contadino che non vuole abbandonare la sua casa anche
quando il fiume inonda la campagna riprendendo il corso originario.
Un’inondazione può unire le generazioni, le terre, le regioni, una
guerra può svegliare il coraggio, i fiori d’acacia diventano frittelle.
La musica trasforma il mio racconto in ballate. Tramandata di voce in
voce una ninna nanna scongiura guerre e avidità contro le quali lotto
aprendo le braccia per raccontare tutte le storie di tutti e non
perderne le memorie. È un’impossibile impresa, un fallimento dichiarato
che mette allegria. Non c’è nulla da perdere e una marea di cose da
imparare.
NOTE SULLO SPETTACOLO E SUL PROGETTO
Ogni volta
che un’onda del tempo trascina via quello che non serve, si rinnova la
mia curiosità verso i volti, i luoghi, le vite. Non resisto alla
tentazione di creare ritratti e trame osservando la realtà e
trasformandola con l’immaginazione. Si tesse così un racconto sospeso
tra storia, memoria e invenzione. Ritrovo in me una miriade di voci che
non so da dove vengano e spesso torno dove sono nata per capirlo e
inventare uno spettacolo nuovo che fa parte di uno stesso grande quadro.
La mia terra d’acqua, di nebbia, di palude, di mare è per me una
porta magica, un grande libro che mi aiuta a trasformare le storie di un
luogo in storia di tutti: ogni angolo del paesaggio è una pagina, ogni
persona che passa una storia. Parlano le pietre, parlano le case,
parlano le persone anche se stanno zitte, parla anche l’aria e mi
racconta quello che non vedo più, quello che non farò in tempo a vedere.
La realtà di ogni giorno diventa epica, leggenda.
Conoscendo e
raccontando questo luogo mi pare di comprendere il mondo intero. Imparo a
guardare e ad amare ogni luogo come se fosse la mia patria e casa mia.
Cercando di riallacciare il filo con il passato, di ritrovare saperi e
parole perdute, ho imparato ad amare ogni cultura.
Sono cresciuta in
una casa di campagna incastrata dentro un paese che cambiava in fretta,
ho imparato il dialetto da donne burbere e forti, da uomini che
parlavano poco e con le mani grandi. Non mi hanno trasmesso tutto il
loro patrimonio di gesti e parole, quasi se ne vergognavano. Si
inchinavano ad una nuova libertà che metteva in ombra i loro saperi.
Quella bambina bruna che correva nel cortile era destinata a studiare,
parlare l’italiano, vivere come un maschio, diventare cittadina del
mondo. Sono fuggita e sono tornata, attrice, autrice e regista, come
sognavo. Mettendo il mio sapere alla prova mi sono accorta di quanto
poco conoscevo la mia terra mater matrigna, che, gelosa del mio
girovagare, mi ha afferrato per non lasciarmi più.
La mia terra
mater matrigna mi ha ispirato spettacoli e scritti, mi ha spinto a
creare gruppi, a fare teatro ovunque, a riaprire al pubblico luoghi
abbandonati e dimenticati, da un seicentesco palazzo ad un teatro, da
una chiesina ad un ex macello. Continua, da vicino e da lontano, a
sussurrarmi all’orecchio la sua lingua antica che trasforma la mia voce e
il mio corpo, apre e incatena la mia immaginazione, fa ridere e
piangere, lingua sottile dei poveri e dei ricchi che sa nominare la
distesa rosa dei peschi in fiore e il colore del mare quando cambia la
stagione, sa fare lo sgambetto ai potenti e dice la verità, dice anche
quando il mondo cambia in fretta e cambia male.
Rimango incantata
ad osservare volti e vite, ad ascoltare racconti, memorie, ricordi. Ne
creo una tessitura di storie sospese tra realtà e immaginazione dove
risalta la tenacia di gente famosa e sconosciuta che fa della propria
vita un dono, resistendo alla rassegnazione, all’egoismo, alla chiusura.
Divento loro, uomo e donna, giovane, vecchia, bambino, do la mia voce a
chi non ne ha avuta.
Come accade nei sogni, si saldano le fratture
tra tempi e spazi diversi, fra vivi e morti e posso sorridere anche
nella separazione, anche nella tragedia. Rivivo attraverso spettacoli
diversi alcuni dei miei temi più cari: l’arte del teatro come strumento
per comprendere e amare il mondo intorno a me, il desiderio di dare voce
a chi non ne ha, lo sgomento per il conflitto feroce tra culture e
religioni, il rispetto per la cultura e la memoria, l’amore per la
multiforme bellezza del pianeta minata da un’economia e da una politica
avide fino alla distruzione.
Ero immersa in questa ricerca quando è
arrivata l’alluvione del maggio 2023. Parole, immagini, notizie,
emozioni, sono entrate nella mia favola che pareva creata per
accoglierle e hanno aperto la strada per includere altre storie di altre
terre, tempi, paesi.