DAL FIUME RIBELLE
drammaturgia, regia e interpretazione Elena Bucci
musiche originali dal vivo o registrate Christian Ravaglioli, Fabrizio Puglisi
disegno luci Loredana Oddone - cura e drammaturgia del suono, documentazione audio Raffaele Bassetti - scena Elena Bucci - costumi Marta Benini - assistenza al progetto Nicoletta Fabbri - documentazione video Stefano Bisulli
una produzione Le belle bandiere con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Russi
Pensando al tempo della conquista della democrazia nel nostro paese, sento quegli anni vicini e lontanissimi. Mi accorgo che proprio da lì parte il filo di un mio personale racconto che arriva al presente attraversando questioni che non riguardano ideologie e partiti, ma la coscienza individuale, la perdita di memoria e la capacità di ognuno di esprimere la sua natura e il suo pensiero intersecando la sua vita con la storia di tutti.
In alcuni luoghi i fiumi sono confini, strade d’acqua, vita, sono l’avventura, il mare, l’unica altura dalla quale spiare lontano. Ma volte si riprendono il loro antico spazio e fanno tornare la terra palude o lago.
Come il fiume ribelle segue il suo corso, così donne e uomini hanno ascoltato il loro sentire anche quando divergeva da quello di chi avevano vicino e di chi comandava. Hanno vinto esitazioni e paure in nome di ideali che quasi non oso nominare, in questo tempo indifferente: solidarietà, libertà, giustizia. Molte donne hanno pensato di fare quello che era giusto e niente di più e solo da poco si raccontano le loro vicende. Vado e vengo tra passato e presente, nel quale leggo derive di autoritarismo che non avrei mai previsto. Forse non siamo stati vigili, non siamo stati abbastanza attenti, penso. Abbandono l’illusione di essere dalla parte giusta e indago le mancanze. Come un cantastorie ascolto le voci che sussurrano le storie senza padrone di chi resiste alla prepotenza e di chi opprime, a volte senza sapere perché. Ne faccio un racconto in musica per ritrovare domande, coraggio, speranza.
Un giorno di fine giugno una signora di novantacinque anni appassionata di ciclismo e con gli occhi blu, aspetta in sedia a rotelle sul ciglio della strada la corsa che taglia in due il paese. Mi chiede sottovoce di spostarla perché, mi spiega, da lì dove l’hanno messa i figli non vede bene. Qui, qui, qui! Adesso sì che li vedo bene in faccia i corridori, dice. Sai, mi dice, ho una lettera di un maestro anarchico, amico del mio bisnonno, che insegnava ai suoi allievi ad essere liberi. Gli diceva che tutti avevano il diritto di scegliere vita, mestiere, religione, credo politico purché avessero rispetto degli altri e della loro libertà. Fu radiato dall’insegnamento e se non fosse stato per l’aiuto di chi gli voleva bene, sarebbe morto di fame. Per lei, che è in pensione, ma ancora insegnante nel cuore, la sua lettera è un talismano. Mi domando in quanti luoghi, oggi, sognare di cambiare il mondo in funzione della felicità e della libertà di tutti sia motivo di condanna.