DAL FIUME RIBELLE

drammaturgia, regia e interpretazione Elena Bucci
musiche originali dal vivo o registrate Fabrizio Puglisi / Christian Ravaglioli / Marco Zanotti

cura e drammaturgia del suono, registrazioni Raffaele Bassetti / Franco Naddei - scena Elena Bucci - costumi Nomadea, con la collaborazione di Marta Benini - assistenza al progetto Nicoletta Fabbri - documentazione video Stefano Bisulli
una produzione Le belle bandiere con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Russi

anteprima: 13-15 marzo 2026 - Teatro Basilica, Roma


foto Patrizia Piccino

Mi affaccio sul grande libro del mondo e della storia, ogni angolo è una pagina, ogni persona un romanzo. Mi sento un archivio vivo, un registratore vivente, un copione al quale ogni giorno si aggiunge qualche parola. 
Ho una predilezione per chi non ha voce, per chi viene dimenticato, per chi fatica a trovare il suo posto e scivola fuori dai binari, per chi si tiene stretta la sua libertà ad ogni costo, per chi sa trasformare la vita quotidiana in poesia. Ascolto i paesaggi, aspettando il momento nel quale sono più vuoti e risuonanti e mostrano le ferite inflitte dal tempo e dallo sfruttamento degli umani: le città con tutto il loro carico di segni e scricchiolii, i luoghi vissuti dalle comunità e poi abbandonati, le fabbriche dismesse, le case di contadini con il tetto sfondato, i palazzi sfigurati, le campagne senza più fisionomia abitate dal profilo nero degli irrigatori, gli argini dei fiumi e i luoghi solitari dai quali pare di veder scorrere la storia, con i suoi crimini, gli eroismi, i misteri. Divento una cantastorie che raccoglie i racconti senza padrone di chi resiste alla prepotenza e di chi invece opprime. Intreccio le parole alla musica per trasformare le vite in ballate. Quando una biografia, una voce, un volto, una frase, un paesaggio, mi incantano per la loro unicità e verità, entro in una dimensione dove passato e futuro si incontrano, dove i fantasmi prendono per mano i vivi. Ne faccio ritratti, come un fuoco nel buio della notte.
Allungo lo sguardo tra la folla, su per le colline, verso la campagna piatta, verso il mare, nelle città dormienti, oltre i confini del nostro paese, per cercare un altro confine: quello che divide coraggio e viltà, follia e saggezza, connivenza e ribellione, conformismo e autenticità, salvezza e perdita, dove si è rotto l’equilibrio tra natura e genere umano e dove invece germoglia nuova vita. Ho pensato allora ai fiumi di questa nostra terra, fonte di vita e di distruzione. 
In alcuni luoghi i fiumi sono confini, strade d’acqua, vita, sono l’avventura, il mare, l’unica altura dalla quale spiare lontano. A volte si riprendono il loro antico spazio e fanno tornare la terra palude o lago. Come il fiume ribelle segue il suo corso, così donne e uomini hanno ascoltato il loro sentire anche quando divergeva da quello di chi avevano vicino e di chi comandava. Hanno vinto esitazioni e paure in nome di ideali che quasi non oso nominare, in questo tempo indifferente: solidarietà, libertà, giustizia. Racconto storie, vite e luoghi di chi ha guardato dentro di sé e ha trovato il coraggio di rischiare vita e sicurezza in nome del bene di tutti, anche di chi non capiva, anche di chi ancora non c’era. Divento quelle donne e quegli uomini per vestirmi di speranza. Racconto di chi ha cercato la verità e ha testimoniato, di chi ha contribuito a conquistare democrazia e diritto al voto, di chi ha difeso la dignità del suo mestiere, la salute della terra e la bellezza, di chi ha resistito al miraggio della ricchezza a tutti costi e alle leggi del mercato, di chi si è ostinato a non dimenticare e a fare del ricordo insegnamento e slancio. Molte donne, in tempi nei quali erano senza voto e a volte senza istruzione, hanno lottato per i diritti di tutti pensando di fare quello che era giusto e niente di più. Anche per questa modestia solo da poco si narrano le loro vicende, proprio quando in molte parti del mondo i diritti che sembravano acquisiti vengono loro tolti. Racconto anche di chi non ha avuto coraggio, di chi ha ferito, tradito, perché mi pare sia necessario comprendere e accettare anche chi sembra non lo meriti, altrimenti non si spezza il cerchio, non si estingue la ferocia. Vado e vengo tra passato e presente, nel quale leggo derive di autoritarismo che non avrei mai previsto. Penso a donne e uomini che hanno conosciuto la libertà e l’hanno perduta proprio quando l’umanità ha creduto di essere in cammino verso un progresso senza fine. Forse non siamo stati vigili? Non siamo stati attenti? Abbandono l’illusione di essere dalla parte giusta e cerco le mancanze. Il teatro, luogo fisico e ideale dove si incontrano le arti, apre le sue porte a tutti e accoglie tutte le domande. 
Sento crescere negli ultimi tempi un’onda che assomiglia alla ricerca di un’identità collettiva smarrita, di un progetto comune, di ideali. O forse è un mio desiderio che intercetto anche nel pubblico che mi segue in luoghi impervi, inusuali, abbandonati che diventano nuovi teatri del presente dove ritrovare insieme il senso delle nostre arti dal vivo. Ho cominciato così a trattare, attraverso storie di vite, personaggi e racconti, temi antichissimi e urgenti come il coraggio, la libertà di pensiero, il processo di resistenza o adesione all’insorgere delle dittature, il senso della politica, la sua relazione con la vita quotidiana, la possibilità di ogni individuo di incidere in profondità nella storia.

UN PROGETTO LUNGO UNA VITA
Sono incantata dallo spettacolo delle vite degli altri, dalla fisionomia stratificata dei luoghi, dai racconti che evocano un tempo che non ho vissuto, dalle trasformazioni della memoria. Attraverso di me sento risuonare le voci di chi mi ha allevato, delle maestre e dei maestri che ho incontrato. 
Spesso parto da illuminazioni che mi arrivano dalla terra dove sono nata e dalla quale fuggo e ritorno, esule con forti radici. Indago la frattura dolorosa con il passato avvenuta in nome di un’economia e di un progresso che hanno spesso mortificato il sentimento della fratellanza e della bellezza e il gusto dell’originalità e della complessità. Ritrovo parole perse, modi di dire, suoni, immagini che danno una scossa alla mia scrittura e mi innamorano. Lo studio della mia terra mi induce a indagare con la stessa affezione e curiosità altre storie e paesaggi per trovare differenze e affinità in una moltiplicazione di sorprese e riconoscimenti che mi fa sentire cittadina del mondo. 
Per ‘Autobiografie di ignoti’ sono entrata in punta di piedi in un bar dove si dissolve il confine tra notte e giorno, sogno e realtà, successo e fallimento, e dove ho incontrato personaggi sospesi tra verità e immaginazione che mi hanno rivelato quale luce si nasconda dietro un’apparente, resistente ed orgogliosa sconfitta. 
Per ‘Canti per elefanti’ sono entrata in una ‘casa protetta’, dove ho incontrato creature esiliate per vecchiaia, malattia mentale, malattia. Ne sono uscita con un bagaglio di storie che mi hanno permesso di indagare la sottile soglia oltre la quale si scivola in un mondo chiuso dove le regole sono dettate da altri. 
Per ‘In canto e in veglia’ ho abitato la camera bianca dove si salutano le persone più care e ci si interroga sulla morte, scoprendo che i riti del lutto non sempre sono vuote superstizioni e trovando nelle foglie, in un ghiacciaio, nella sabbia, una traccia delle voci perdute. 
Per ‘Di terra e d’oro’ ho indagato il concetto di lavoro e di come il desiderio di un guadagno sempre maggiore abbia stravolto paesaggi e destini, distruggendo i delicati equilibri tra il corso della natura e gli interventi dell’uomo, tra armonia ed economia. Ho raccontato mestieri dimenticati che creavano bellezza, sapienza e incontri, ho guardato con altri occhi le trasformazioni delle città, dei mercati e della terra. 
Canto alle vite infinite’, intrecciato a ‘Terra mater matrigna’, mi ha portato nel regno dei fantasmi per dare voce a chi non c’è più, perché restasse una scia di esistenze luminose, di modi di vivere che si fondavano su un patrimonio di saperi e di ascolto che si trasmetteva da persona a persona e che a tratti pare dissolto, ma che invece permane e va accolto. La sconvolgente alluvione della Romagna nel maggio 2023 ha fatto precipitare tutti i ritratti di persone e paesaggi in un unico racconto. Ho portato questo lavoro sia nei teatri che in luoghi all’aperto che mi hanno regalato la loro energia e un rapporto con il pubblico antichissimo e nuovo.
Vorrei raccontare tutto e tutti e non riesco a lasciare indietro uno sguardo. So bene che non potrò riuscire in un compito tanto vasto, ma accetto il piacere di fallire sotto lo sguardo di una folla di creature in attesa: faccio la mia parte e altri meglio di me continueranno.

LA MUSICA
Trovo nel rapporto con i musicisti una fonte di ispirazione ed entusiasmo. Affronto la scrittura del melologo confrontandomi con loro in sessioni di improvvisazione alternate a sessioni di lavoro a tavolino. Con questo semplice e complesso sistema di regole sempre in movimento, ci si ispira a vicenda aprendo orizzonti che in solitudine non si vedono. Insieme a loro cerco e ritrovo le vie per intrecciare teatro e musica. Da qualche anno ho il piacere di lavorare con Fabrizio Puglisi, Christian Ravaglioli e Marco Zanotti che, accanto ad altri valenti musicisti, hanno saputo interpretare in chiave contemporanea la tradizione musicale della loro terra di origine e di altre zone del mondo, riallacciando così il rapporto tra memoria e innovazione, passato e futuro. Si alternano l’uno all’altro nel corso del progetto e delle sue repliche. A volte, se possibile, suonano insieme.

GLI SPAZI, LA TECNICA
Pur continuando a sentire gli spazi teatrali come un fondamentale luogo di ricerca, studio e sperimentazione di sempre nuove commistioni dei linguaggi artistici, immagino una forma dello spazio scenico duttile, che mi permetta di abitare teatri grandi e piccoli, ma anche di uscire fuori, incontrare ogni tipo di pubblico, dialogare con la natura, trasformare in teatro luoghi di particolare interesse civile, storico e artistico e spazi dimenticati e abbandonati. Mi sono trovata spesso ad essere ‘pioniera’, abitando per la prima volta con musica e teatro luoghi di Romagna come il Palazzo San Giacomo, case di campagna, il Mausoleo di Teodorico, la Basilica di San Vitale, il chiostro della Biblioteca Classense a Ravenna, palazzi tra i Sassi di Matera, la piazza de L’Aquila dopo il terremoto, filande in Veneto, fabbriche abbandonate, argini, vicoli e strade. Nel corso degli anni questa continua sfida ad abitare i luoghi attraverso il teatro ha creato una squadra tecnica di grande duttilità e sapienza capace di coniugare un articolato linguaggio di luci, suono e gestione della scena con le diverse caratteristiche degli spazi.

estratti rassegna stampa 

foto Dorin Mihai

foto Salvatore Pastore

foto Gianni Zampaglione

foto Patrizia Piccino

foto Stefano Binci