ELEKTRA

di Hugo von Hofmannsthal

progetto ed elaborazione drammaturgica Elisabetta Vergani
consulenza Marina Cavalli

interpreti Martina De Santis, Angela Malfitano, Federico Manfredi, Elisabetta Vergani

scene Marco Muzzolan - costumi Andrea Stanisci - datore luci Marco Preatoni - assistente alla regia Carolina Sylwan - assistente ai costumi Anna Rossi - direttore di produzione Franco Spadavecchia

regia Marco Sgrosso

produzione Teatro del Buratto - Farneto Teatro
debutto: 7 maggio 2009, Teatro Verdi, Milano


Ho accolto con grande piacere l’invito di Elisabetta ad accompagnarla in questa quarta fase del suo percorso attraverso le grandi figure femminili del Mito, rivisitate dagli autori moderni.
Dopo oltre venticinque secoli, i personaggi della tragedia greca continuano a parlarci, a farci riflettere e ad emozionarci con le loro vicende che sono specchio dell’uomo di ogni tempo e di ogni condizione, con una qualità di sintesi, profondità e limpidezza straordinarie. 
L’Elektra di Hugo von Hofmannsthall, direttamente mutuata dall’opera di Sofocle e arricchita di una secca k nel nome che suona come una scossa, si complica dei motivi del suo tempo. 
Nella fulminea tragedia ad un solo atto dell’autore tedesco, si respira chiaramente il gusto espressionista e ridondante dell’arte di fine secolo e il vento delle recenti scoperte psicanalitiche. 
I personaggi perdono in parte il valore mitico che hanno negli autori tragici e sono attraversati da una spietata analisi psicologica in mirabile equilibrio tra simbolismo e naturalismo, mentre di riflesso scompare l’individualità del dio e la compattezza del Coro si frantuma in generiche figure popolari.
Elettra - principessa umiliata, emblema di un’etica titanica, amara come un nodo in fondo al cuore e destinata per vocazione al lutto già dai tre tragici - infiamma la fantasia di Hofmannsthall, che ne esalta la funzione di custode della memoria del Padre, ridotta a cagna o lupa che, nella volontaria accettazione dell’abbrutimento e del sacrificio totale, sceglie con ostinazione d’essere figlia e sposa di un cadavere, nell’attesa senza certezze del ritorno del fratello Oreste per il compimento della vendetta.
In quattro memorabili scene, Elettra sviluppa la sua parabola dolorosa incontrando i consanguinei antagonisti, anch’essi assurti in Hoffmansthall a figure estreme.
La sorella alleata-non alleata Crysothemi, cantatrice spudorata di un’altra possibilità di essere femmina.
La madre-nemica Clythemnestra, trasfigurata in uno spettacolare ed inquietante ritratto di disfacimento fisico ed emotivo.
Il tanto atteso ed amato Oreste, implume angelo vendicatore destinato dagli dèi ad un compito al di sopra delle sue possibilità. 
In uno spazio gelido e sospeso, a metà tra corroso palazzo del mito e livido obitorio di un tempo più recente, un luogo malato di memorie incrostate e di sospiri senza tregue, dominati e costretti dalla presenza di una tavola-letto che è di volta in volta in volta sepolcro, mattatoio o trampolino di parole gravide che scavano l’aria, ho immaginato per Elisabetta, Angela, Martina e Federico personaggi malati e braccati, i loro corpi contorti rimandano ad una recondita animalità e alla loro condizione di anime condannate ad un destino senza risposte. 
Ed in una geniale intuizione, Hofmannsthall consegna Elettra ad un finale senza futuro, privandola di un epilogo che non può essere all’altezza della sua grande funzione tragica. (MS)