LA MITE

Krotkaja

di Fëdor Dostoevskij (traduzione Bruno Dal Re)

concertino amaro per voce e corde
riduzione drammaturgica, mise en espace e interpretazione Marco Sgrosso

musiche dal vivo Davide Fabbri (tiorba, mandolino, chitarra barocca, chitarra classica)
luci e suono Roberto Passuti

produzione Le belle bandiere
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi


… Batte il pendolo, insensibile, odioso.
Le sue scarpette stanno lì, ai piedi del lettuccio di ferro.
Quando domani la porteranno via… che ne sarà di me? 

Dopo il tormentato io-narratore delle ‘Memorie dal sottosuolo’, torno con gioia e sempre rinnovata emozione a Fëdor Dostoevskji, autore che amo visceralmente per la forza espressiva della sua scrittura netta, ricca, graffiante e poetica insieme, amara ma anche dolcissima, profondamente ‘umana’ e così prettamente teatrale.
E incontro un altro ritratto di uomo in conflitto, diviso, spezzato, lucidissimo nella sua spietatezza, sia verso se stesso che verso l’oggetto della sua implacata sofferenza. Diversamente dalla Lisa delle Memorie però, la fanciulla di questo racconto in prima persona maschile sovrasta la figura del narratore, catalizza tutto il racconto e nella sua assenza assurge a protagonista assoluta della confessione impietosa.
Non ha neppure un nome, è solo Krotkaja, la Mite, ma questo dimesso tratto principale del suo carattere - declinato attraverso i dettagli dello sguardo ossessivo, implacabile e quasi malato del suo carnefice-vittima - le permette di rifulgere come una fuggevole Madonna, una scintilla che si accende all’improvviso quasi dal nulla e riverbera per un tempo tanto breve quanto intenso. La Mite parla pochissimo, appena qualche frammento di frase riportato da lui, ma da lui è ‘parlata’ ossessivamente, senza pace, appassionatamente, distesa muta su quel ‘lettuccio di ferro’ sul quale brilla come un angelo misterioso durante tutto il racconto.
In questo primo avvicinamento in forma di concerto per voce e corde, in scena soltanto l’attore in smoking e un leggio, segno della trasmissione orale della pagina scritta, accompagnato dalla presenza di un testimone solo apparentemente impassibile e distaccato, ma che commenta e sostiene questa confessione amara con le melodie ora dolci ora aspre, sempre struggenti, dei suoi meravigliosi strumenti antichi, che assieme alla parola cantano il requiem dell’addio.