LA PAURA

ovvero essere pronti è tutto
variazioni sul tema in concerto

di e con Elena Bucci
con brani tratti da ‘Venditori di paura’ di Ermellina Drei

suoni e sensori Raffaele Bassetti - direzione tecnica e macchinismo Giovanni Macis - luci Gianluca Bergamini - lampade Claudio Ballestracci - assistente all’allestimento: Nicoletta Fabbri

si ringraziano Andrea de Rosa, direttore artistico del Teatro Stabile di Napoli nell’anno 2010, L’Arboreto di Mondaino, tutti coloro che hanno accolto i laboratori dal 2008 a qui, tutti coloro che vi hanno partecipato, la famiglia Drei per la concessione gratuita e illimitata del diario

produzione Le belle bandiere con il sostegno di Comune di Russi, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna

debutto: 4 luglio 2011, Teatro Alfieri, Asti
___

«Un giorno mi sono accorta che avevo costruito la capacità di dire no.
Un no scintillante, limpido, cristallino, che suonava come una risata.
Niente di più e niente di meno di un no. Facile. Prima era la paura.»
(dal diario di Ermellina Drei)

La paura non è affatto un tema nuovo. Nemmeno il fatto che sia uno strumento di potere più affilato di un coltello lo è. Ma se ascolto lo sgomento che provo di fronte alla violenza nascosta in molti gesti quotidiani, alla rigidità del camminare per strada, all’ombra di sospetto negli sguardi, se noto come l’ammirazione ceda il passo all’invidia, se mi stordisce l’apatia con la quale accogliamo anche gli eventi più drammatici, obliando le lotte importanti dell’ultimo secolo, se mi sembra che ogni gesto di invenzione si areni contro un muro di ragionevoli ostacoli, allora prende corpo una figura imperiosa e pallida, dallo sguardo vuoto di statua. Cosa succederebbe se a comandare il mondo ci finisse la Paura?
Non mi sono mai occupata di teatro politico e civile e non lo faccio nemmeno ora, nonostante questo lavoro tratti questioni sia politiche che civili, come i meccanismi che precedono l'insorgere di una dittatura, le implosioni delle storie individuali quando vengono bloccate da quelle stesse paure che sembra preservino l'incolumità e il tranquillo procedere della vita quotidiana, il gioco perverso dei legami familiari, la guerra che, pur non essendo stata dichiarata, a noi tutti pare di avere attraversato.
Tratto anche di una progressiva perdita della capacità di conservare quello che spesso ci aiuta a non diventare schiavi della paura, indotta o naturale: una visione poetica dell'esistenza che spinga a creare momento per momento un destino. Questa forma di analfabetismo della libertà, che quasi ci fa perdere il senso stesso delle parole che ci pareva di possedere, mi sembra favorire una continua proiezione verso un futuro sempre più nebbioso a svantaggio di una nitida ed animale percezione del presente.
Scrivo con gli strumenti del teatro, luce, suono, movimenti di scena, passando dalla voce cantata al parlato, attraversando diversi personaggi, rivelando come un illusionista burlone quegli stessi strumenti che mi consentono di creare magie, come il mistero sciocco di lampade che calano o il brillare di una gelatina industriale. Il macchinista è mio complice e mio avversario, ribelle o servo del potere. Faccio uso dell'improvvisazione, specialmente nelle parti che prevedono un coinvolgimento del pubblico, che per tre volte si trova in luce e invitato ad agire. Gli elementi in scena sono pochi: una poltrona, le lampade che aprono e chiudono stanze, una borsa della spesa piena di verdure che diventano i personaggi di una famiglia italiana, padre il sedano, madre il prezzemolo.
Si affaccia poi Ermellina Drei, sconosciuta bibliotecaria e testimone di eventi che ha registrato sul suo diario, catalogo e inventario di un'epoca di sparizioni: libri, poeti, legami, ideali, vicini di casa. Il racconto si spegne nell’afasia del prefinale che evoca la sarabanda e il crollo di molte ideologie. Nel futuro c'è la coscienza leggera di dover narrare un presente misterioso con parole nuove, che ci scrollino la polvere grigia dagli abiti, dai visi, dalle piazze delle nostre città. È una danza sul filo alla quale mi costringo, tentando di essere attendibile testimone del tempo in cui vivo.
 
 


 
foto Marco Ghidelli