NELLA LINGUA E NELLA SPADA

un progetto di musica e teatro ispirato alle vite e alle opere di Oriana Fallaci e di Aléxandros Panagulis

elaborazione drammaturgica, regia e interpretazione Elena Bucci
musica in playback Luigi Ceccarelli
con registrazioni di Michele Rabbia e Paolo Ravaglia

disegno luci Loredana Oddone, rielaborazione site specific Max Mugnai - cura e regia del suono Raffaele Bassetti - assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri - scene Nomadea, Loredana Oddone - costumi Nomadea, Marta Benini e Manuela Monti - macchinismo Enrico Berini - foto Luca Concas, Salvatore Pastore, Patrizia Piccino - documentazione video Stefano Bisulli - si ringrazia il Teatro Comunale di Russi per l’ospitalità

produzione Le belle bandiere, TPE - Teatro Piemonte Europa, Ravenna Festival, Fondazione Campania dei Festival / Campania Teatro Festival - produzione musicale Edison Studio, Roma
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi

debutto con musicisti dal vivo: Campania Teatro Festival, 8 luglio 2019, Teatro Nuovo, Napoli - Ravenna Festival 12 luglio 2019, Teatro Alighieri, Ravenna
debutto versione in solo con musiche registrate: Torino Teatro Astra - TPE, 10 marzo 2022
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(scheda sintetica)

La prima vittima dei tiranni / è il loro spirito. / Prima a quello / mettono le catene.
(Aléxandros Panagulis, Vi scrivo da un carcere in Grecia, 1974, Rizzoli)

Grazie Oriana perché scrivendo la vostra storia d’amore e libertà hai vinto la morte.
Grazie Alekos perché distillando versi nella solitudine della tua prigionia hai vinto il dolore.
Grazie alla vostra scrittura io che non so cosa siano la guerra, la dittatura, la censura, la tortura, io sono con voi, sono voi, nella lingua e nella spada.

Questo melologo di più anime si ispira alla storia del poeta e rivoluzionario greco Alekos Panagulis e della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci: si incontrano per un’intervista il giorno in cui Alekos, incarcerato per un attentato al dittatore Papadopoulos, viene liberato grazie ad un forte movimento internazionale e restano allacciati, fra discussioni, lotte per la libertà, allegria, solitudini e speranze, fino alla morte di lui per un misterioso incidente, nel 1976. Alekos trova nella poesia una cura per resistere alla violenza della tirannia e del carcere; Oriana fa del suo lutto un libro. Irriducibili, spesso isolati e solitari, mai vinti nella vitalità e nell’energia, trasformano il dolore in scrittura, memoria di tutti, un tesoro al quale attingere quando manca il coraggio. Proverò a raccontare con le mie povere parole di lei e di lui, di quell’epoca, di quella terra e della mia, dell’entusiasmo per alcuni artisti – eroi? - che vissero l’orrore della dittatura senza piegarsi, cantando: nella lingua e nella carta è la loro spada. Grazie a loro allargo il mio sguardo di fortunata nata in tempo di pace fino al limite del buio che si avvicina. Luigi Ceccarelli crea la drammaturgia musicale integrandovi le improvvisazioni di Michele Rabbia e Paolo Ravaglia, mentre voce e movimenti dialogano con il suono. Sullo sfondo è la musica greca, che ha saputo accogliere la musica latina, araba e balcanica fino a farne una sintesi che ci identifica tutti in un unico linguaggio. “Nella lingua e nella spada” ha aperto una strada nuova che mi riconduce al misterioso luogo dove ho vissuto il primo fascino del teatro. Grazie con tutto il cuore a chi ci ha  aiutato.

(scheda completa)

La prima vittima dei tiranni / è il loro spirito. / Prima a quello / mettono le catene.
(Aléxandros Panagulis, Vi scrivo da un carcere in Grecia, 1974, Rizzoli)

Questo melologo di più anime si ispira alla storia del poeta e rivoluzionario greco Alekos Panagulis e della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci: si incontrano per un’intervista che resterà nella storia proprio il giorno in cui Alekos, incarcerato per un attentato al dittatore Papadopoulos, condannato a morte e poi graziato, viene liberato grazie ad un forte movimento internazionale. Restano allacciati, fra discussioni, lotte per la libertà, allegria, solitudini e speranze, fino alla morte di lui per un misterioso incidente, nel 1976.
Alekos trova nella poesia una cura per resistere alla violenza della tirannia e del carcere; Oriana fa del suo lutto un libro. Irriducibili, spesso isolati e solitari, mai vinti nella vitalità e nell’energia, trasformano il dolore in scrittura, memoria di tutti, un tesoro al quale attingere quando manca il coraggio.

Quando, dopo la maturità, partii per un viaggio in Grecia, portai con me il libro dove Oriana Fallaci racconta dell’incrocio del suo destino con quello di Alekos Panagulis. Persa in quella terra polverosa e profumata, fra templi, paesaggi marini e città caotiche e nere, ritrovavo le vite di Oriana e Alekos, in lotta contro il conformismo e le bugie, irriducibili, ostili per natura e disciplina al potere e alla tirannia. Si narrava di amore e di lotta, della solitudine degli eroi e della loro forza poetica, dell’allegria e della disperazione degli spiriti liberi. Ora capisco meglio quanto sia anche una vigorosa celebrazione del lutto attraverso la scrittura, una testimonianza che resiste all’oblio. “La politica è un dovere, la poesia un bisogno. È un urlo che non si può soffocare, l’ansia di un istante che non si può dimenticare. Allora cerchi carta e matita per fermarlo.” Scrive Alekos nel carcere, su qualsiasi cosa trovi, per non perdersi. Anche per Alekos la scrittura è medicina che salva quando il mondo sembra impazzito. È un’arma e uno scudo. Da essa trae la forza di ridere dei propri aguzzini, di prenderli in giro, di sopportare la solitudine della sua ricerca di libertà e verità. Mi pare di trovarvi anche il sollievo per non essere diventato un assassino, quando la sua ribellione alla tirannia non gli porgeva altra soluzione che l’attentato, proprio lui che non sapeva vendicarsi nemmeno dei suoi aggressori. I suoi libri con la prefazione di Pasolini sono ormai introvabili. Sembrano passati secoli, ma le domande sono vive. Resiste anche la volontà gioiosa di resistere alla violenza e alla paura con la pratica del pensiero, dell’arte, della scrittura. Mi affido all’intuito drammaturgico e alla sensibilità del compositore Luigi Ceccarelli, al talento dei musicisti Michele Rabbia e Paolo Ravaglia e alla sapiente e partecipe regia del suono di Raffaele Bassetti e Andrea Veneri. La musica crea uno spazio tempo sospeso dove posso immergermi in altre esistenze, storie, luoghi e sfrangiare i limiti della mia identità. In un continuo scambio tra appunti, improvvisazione e riscritture, la drammaturgia si innesta sulle comuni radici di musica e teatro. Le luci di Loredana Oddone disegnano nello spazio quasi vuoto una piccola prigione che può diventare Atene, Firenze, il mare, la spiaggia, un’anima, l’infinito. Non uso le parole di Oriana Fallaci, non strappo brani da un libro perfetto, ma provo a raccontare con parole mie di lei e di lui, di quell’epoca, dell’entusiasmo per alcuni artisti – eroi? - che vissero l’orrore della dittatura senza piegarsi, cantando: nella lingua e nella carta è la loro spada. Grazie a loro allargo il mio sguardo di fortunata nata in tempo di pace fino al limite del buio che si avvicina.

(per una bibliografia inventata)

Non ho strappato brani dal libro “Un uomo” di Oriana Fallaci. Lei non lo avrebbe voluto. L’ho letto e riletto, ritrovando spesso l’emozione della prima volta che lo aprii, in un viaggio in Grecia, molti anni fa. L’ho trasformato attraverso la mia immaginazione e la mia memoria. Ho letto quasi tutto quello che ha scritto, ho studiato la sua biografia, ho letto le interviste.
Ho letto le poesie di Alekos Panagulis, le sue interviste, la sua biografia. Ho cercato tracce di quello che ha detto e fatto, di quello che gli altri hanno scritto e detto di lui. Ho immaginato quello che non so della sua breve vita, delle sue follie, dei suoi ideali. Ho sentito come il suo coraggio libero fosse un gesto poetico, uno scialo.
Ho lasciato che emozioni e notizie decantassero e ho raccontato questa storia d’amore e libertà con le mie parole: non ho la pretesa di poter raccontare Alekos e Oriana, ma posso rendere loro omaggio raccontando cosa sono stati per me. (EB)

(note intorno al progetto musicale)

Negli anni in cui si svolgeva la vicenda di Alekos Panagulis contro la dittatura greca e la sua storia veniva dibattuta dalla stampa di tutto il mondo ero un giovane ventenne. In quell’epoca di forte ideologizzazione che rendeva spesso il clima sociale cupo e torbido, la figura di Panagulis si stagliava per la forza lucida e la grande emotività del suo pensiero, raccontata soprattutto con efficace coinvolgimento da Oriana Fallaci. Quello che mi impressionava molto in lui, ciò che lo rendeva ai miei occhi una persona straordinaria, era come l’ideale di libertà fosse talmente necessario da rendere sopportabile perfino ogni tipo di violenza fisica e psicologica, la dimostrazione di come il perseguimento di un ideale potesse andare anche oltre la propria vita.
Oggi sono passati quasi cinquant’anni da allora e il mondo è molto cambiato. Così, quando mi è stato proposto di creare un’opera di teatro musicale su Alekos Panagulis, ero inizialmente un po’ perplesso, la sua figura mi sembrava ormai scolorita dal tempo e dal tramonto di molte di quelle ideologie.
Invece, con sorpresa, rileggendo le sue poesie e la sua storia mi sono reso conto di come quel pensiero ancora oggi rimanga intatto, di come quel carico di energia vitale prepotente possa essere ancora necessario ed attuale, dopo la necessaria opera di depurazione del tempo. E anzi, più oggi che allora, il desiderio di democrazia e di libertà perseguito con così tanta emotività da Panagulis ci trasmette un desiderio di partecipazione positivo. Proprio quella stessa partecipazione che i media attuali sembrano concederci sempre più ma togliendoci del tutto l’entusiasmo.
Come affrontare questo tema dal punto di vista musicale, come rendere la vitalità contenuta nei testi di Alekos Panagulis?
Innanzitutto trasformando il racconto e la poesia di Alekos in “suono”, cercando di rendere ancor più percepibile l’espressività di ogni elemento fonetico, che Elena interpreta magistralmente, e che l’elaborazione digitale può rendere ancora più emozionale: nella moltiplicazione della voce fino a farla diventare un coro, nella creazione di uno spazio tridimensionale che porti il pubblico ad immergersi nei versi e non a guardarli solo dalla rassicurante distanza della platea, cercando di portare il testo nella dimensione iper-realistica di una performance di teatro musicale contemporaneo.
E poi costruendo un progetto dove i musicisti non eseguono una partitura precostituita e immutabile, ma in cui ogni strumentista contribuisce, con la condivisione della propria identità musicale alla costruzione della partitura generale. Paolo Ravaglia e Michele Rabbia non sono semplicemente esecutori, ma interpreti e creatori all’interno di una struttura in cui testo, voce e suono dialogano tra loro combinandosi senza perdere la loro individualità.
Sullo sfondo ovviamente, a far da riferimento, c’è spesso la musica greca con le sue tradizioni di libera convivenza che ci riporta a quella terra di cui Panagulis è figlio. Non certo quella musica insistente da sottofondo turistico che, come in ogni località del mondo, ci ronza intorno perennemente, ma quella musica che è forse la più antica della civiltà mediterranea e che meglio di tutte ha saputo fondere le culture con cui è venuta a contatto. Ascoltando la musica greca d’arte ci si rende conto che siamo di fronte alla sintesi perfetta tra la musica latina, la musica araba e quella balcanica. Quella sintesi che la musica di oggi è sempre più abituata a fare. Una musica che non appartiene più ad un genere musicale, ma che, forse utopisticamente, è ad un livello superiore, una sintesi che identifica tutti in un unico linguaggio comune. (Luigi Ceccarelli)

 
 
 
 
foto Francesco Fiorello
 
 

foto Salvatore Pastore
 
  
 

foto Luca Concas