ONORA IL PADRE E LA MADRE

Viaggio attraverso i tragici greci: il ciclo di Micene e il ciclo di Tebe

di Marco Sgrosso

Il teatro non è una scienza esatta.
L’esperienza di molti anni mi ha insegnato a diffidare di formule universali valide per tutti.
L’attore è un uomo che porge allo spettatore il suo vissuto ed il suo pensiero, la sua ricchezza creativa si fonda sulla messa a fuoco della sua specificità attraverso un percorso progressivo di conoscenze e sulla rielaborazione costante degli stimoli raccolti durante il percorso formativo.
Penso sia necessario evitare il rischio di imitare modelli in modo sterile ed essere piuttosto capaci di selezionare le indicazioni più pertinenti alla propria natura, riuscire cioè a ‘personalizzare’ la trasmissione dell’esperienza.
Da undici anni – su sollecitazione e grazie alla fiducia del Professor Gerardo Guccini – conduco un laboratorio teatrale di trasmissione dell’esperienza di lavoro con gruppi di circa 20/25 studenti dell’Università degli Studi di Bologna.
Il lavoro che propongo è pratico, una sorta di “trampolino” propedeutico alla professione dell’attore, che ovviamente non è scontato che gli iscritti al corso decidano poi di intraprendere, e ha come obiettivo la necessità di stimolare l’apporto individuale di ogni allievo-attore.
Nel laboratorio tenuto nella primavera 2011, la scelta del tema di lavoro è caduta sulla tragedia greca, per la quale ho sempre nutrito un’adesione viscerale. Eschilo, Sofocle ed Euripide ci hanno lasciato parole tra le più belle mai scritte, parole che descrivono immagini, sentimenti e visioni di una potenza così assoluta e al tempo stesso così limpida da durare intatta attraverso i secoli.
E la ragione è semplice: parlano dell’Uomo.
Politica, guerre, sentimento, etica, religione e conflitto generazionale si fondono in una mirabile sintesi.
Nell’affascinante universo dei miti che affollano il mondo della tragedia greca, dovendo – per motivi di tempo e spazio – operare una selezione tra la vastità degli stimoli ho scelto di lavorare sul “ciclo di Tebe” e sul “ciclo di Micene”.
Le opere analizzate nel corso del laboratorio sono state:
Eschilo – Agamennone, Coefore, Eumenidi, I sette a Tebe
Sofocle – Elettra, Edipo Re, Edipo a Colono, Antigone
Euripide – Elettra, Ifigenia in Aulide, Le Fenicie
La scelta della metodologia del lavoro è stata orientata dalla volontà di consentire ad ognuno degli allievi di sentirsi “protagonista” e di confrontarsi con un grande personaggio e con una motivazione “fondamentale e necessaria”.
Come già sperimentato nel corso di una precedente esperienza pedagogica sullo stesso tema condotta presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, mi interessava creare un contenitore nel quale l’apporto individuale potesse trovare spazio accanto a quello collettivo, con l’obiettivo di portare gli allievi a comprendere quanto profondamente i due aspetti siano uniti e necessari l’uno all’altro in una buona pratica teatrale.
Il lavoro condotto per costruire la drammaturgia conclusiva si è pertanto basato sulla lettura e sulla sintesi delle undici tragedie suddette, che nel corso del laboratorio hanno portato ad una “scrittura scenica” originale, forte dell’apporto individuale di ognuno dei partecipanti in modo che le parole offerte dalle opere si arricchissero della fantasia degli stessi allievi-attori, chiamati ad impersonare i personaggi tragici. Nell’insegnamento condotto con gli allievi-attori della Paolo Grassi la disponibilità di un tempo ampio (tra le 6 e le 8 ore al giorno per quasi 4 settimane), l’ottima disposizione e la buona preparazione tecnica degli allievi e la loro partecipazione appassionata all’argomento mi avevano consentito di andare più in “profondità” sia nell’analisi dei testi che nella scelta delle soluzioni sceniche.
Lavorando invece con studenti universitari – tutti animati da grande entusiasmo ma alcuni dei quali senza alcuna esperienza formativa alle spalle – il tempo più limitato del corso (4 ore al giorno nell’arco di due settimane), unito alla vastità di ricchezza del materiale di studio, ha necessariamente determinato il sacrificio di alcuni approfondimenti. E tuttavia, la resa finale del lavoro, grazie alla partecipazione appassionata e intensa da parte degli iscritti sempre crescente, è stata motivo di grande soddisfazione.
Nel corso delle lezioni, ho ritenuto fondamentale condurre il lavoro sul doppio binario di parola/voce e corpo/movimento, inscindibili per un’espressività armoniosa e tanto più necessari nel confronto con personaggi di statura mitica.
Per questo motivo, la prima parte di ogni giornata è stata dedicata ad un training di preparazione – attraverso esercizi di respirazione, di emissione vocale, di sviluppo della fisicità e dell’attenzione e percezione del gruppo – che mettesse gli allievi in condizione di “sostenere” la presenza scenica, mentre la seconda sezione di studio era dedicata alla libera creatività, alla ricerca delle possibili relazioni tra i personaggi e all’analisi delle vicende tragiche.
Nell’ultima settimana, infine, l’attenzione è stata rivolta alla costruzione narrativa ed emotiva dei due cicli, intrecciando le due storie mitiche con una scelta di brani dalle tragedie che consentisse uno sviluppo sintetico ma al tempo stesso esaustivo delle vicende stesse.
Seguendo le mie indicazioni, ma senza escludere l’autonomia di scelta, ogni allievo ha individuato i punti focali del proprio personaggio e i brani di testo che gli dessero anima e respiro.
A livello didattico, questo metodo mi ha consentito di guidarli verso un approccio alle parole di pietra e di poesia delle tragedie – così lontane dalle semplificazioni e talvolta dalla povertà espressiva del nostro corrente linguaggio quotidiano – che preservasse il più possibile la verità e la mancanza di affettazione nell’eloquio e nel gesto tragico.
Nel montaggio conclusivo, le due vicende sono state intrecciate in modo che i cicli potessero scorrere parallelamente alternandosi e gli allievi-attori fossero al tempo stesso protagonisti in un ciclo e coreuti nell’altro.
E la loro fantasia sollecitata a proporre libere improvvisazioni – individuali o collettive – nella costruzione dei personaggi, ci ha regalato preziose sorprese e invenzioni collegate alle vicende tragiche.
Così l’amore di Elena e Paride che funge da prologo al ciclo dell’Orestea è stato espresso in forma di musical, salvo poi cedere all’atmosfera inquietante del sacrificio di Ifigenia che apre alla guerra di Troia e al contrasto di Agamennone con la sposa assassina Clitemnestra e con l’amante-complice di lei Egisto quando il guerriero vittorioso fa ritorno ad Argo con la profetessa Cassandra, condotta sulle spalle come una cerva, e alla drammatica visione da parte di lei dell’uxoricidio che scatena l’odio sotterraneo di Elettra nell’attesa del ritorno del fratello vendicatore Oreste. Da riflessioni e improvvisazioni sulle stazioni del ciclo sono scaturire la corsa in cerchio di Oreste e quella gemella di Crisotemide, che facevano da contrappunto all’assassinio del padre e alla danza macabra di Elettra, oppure l’abbraccio soffocante delle Erinni al matricida perseguitato dai sensi di colpa.
Parallelamente, il mito di Edipo era annunciato dalla profezia dell’indovino cieco Tiresia, accompagnato da un suo doppio in forma di fanciullo tremante per le visioni profetiche, narrata in forma di racconto animato con sassi di pietra ai figli-bambini Eteocle, Polinice, Ismene ed Antigone.
Intanto un’allieva bulgara nei panni di Edipo danzava ruotando nello spazio con la sposa-madre Giocasta tra le braccia, prima della tragica presa di coscienza che porterà all’impiccagione della regina e al fatale accecamento del Re, poi esule con la figlia amorosa a Colono, accolto dal cerchio magico di Teseo sulle note di un sirtaki pacificatore del dolore.
La feroce guerra fraterna di Tebe, espressa dalla sequenza di un combattimento generale nello spazio, si chiudeva sulla lotta acrobatica e sull’abbraccio mortale dei due fratelli assassini l’uno dell’altro, preludio al grande contrasto tra la ragione di stato di Creonte e quella del cuore di Antigone.
Nel finale della rappresentazione, il semicerchio magico del tribunale dell’Areopago con la raccolta di voti che sancisce il perdono di Oreste protetto da Apollo da parte di Atena sfumava infine nella ricomposizione conciliata e ormai fuori dal tempo delle vicende tragiche dei gruppi familiari, animati da un sussurrare perpetuo delle parole e delle ragioni di ciascuno fino alla dissolvenza di luce e suono. Mi premeva che Onora il Padre e la Madre fosse il nostro modo di raccontare – attraverso grandi storie di madri e padri, figli, sorelle e fratelli che hanno attraversato l’esperienza dell’amore, dell’odio e dell’errore – che è necessario “soffrire per comprendere”.
 
(il contributo propone un breve resoconto dell’undicesimo laboratorio di trasmissione di esperienze teatrali condotto per il Cimes, Università degli Studi di Bologna, primavera 2011)