PRIMA DELLA PENSIONE
ovvero Cospiratori - una commedia dell'anima tedesca
di Thomas Bernhard
di Thomas Bernhard
progetto, scene e regia Elena Bucci e Marco Sgrosso
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani
traduzione Roberto Menin - disegno luci Loredana Oddone - drammaturgia e cura del suono Raffaele Bassetti - supervisione ai costumi Ursula Patzak - assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri - collaborazione alla scena Carluccio Rossi - macchinismo Enrico Berini/Viviana Rella - sarta Marta Benini - si ringrazia Sara Biasin per l’aiuto all’assistenza all’allestimento - si ringrazia la Sartoria Carpeggiani di Bologna
produzione Centro Teatrale Bresciano, ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione
collaborazione artistica Le belle bandiere
debutto: 9 gennaio 2017, Arena del Sole, Bologna
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In ognuno di noi si cela un assassino, basta solo risvegliarlo...
Noi siamo un gruppo di cospiratori... Nessuno sa cosa facciamo, nessuno sa cosa pensiamo, nessuno sa chi siamo...
Abbiamo imparato a memoria il copione
i ruoli sono assegnati da trent'anni...
Quando dovrà calare il sipario
lo decideremo solo noi tre insieme...
Noi siamo un gruppo di cospiratori... Nessuno sa cosa facciamo, nessuno sa cosa pensiamo, nessuno sa chi siamo...
Abbiamo imparato a memoria il copione
i ruoli sono assegnati da trent'anni...
Quando dovrà calare il sipario
lo decideremo solo noi tre insieme...
«“Prima della pensione” fu scritto al tempo del cosiddetto ‘affare Filbinger’. Per aver chiesto un trattamento carcerario meno disumano per uno dei componenti del gruppo Baader-Meinhof, Claus Peymann [il regista al quale Bernhard affidò molti dei suoi lavori], considerato un simpatizzante del terrorismo, era stato costretto a lasciare la direzione del teatro di Stoccarda proprio da quello stesso presidente del Baden-Württemberg di cui negli stessi giorni si venne a sapere che era stato un fedelissimo di Hitler e aveva svolto fino all’ultimo funzioni di giudice nella marina militare. La pièce andò in scena come ultima regia di Peymann a Stoccarda.» (dall’introduzione all’edizione italiana del testo)
Nel suo tormentato amore per il teatro Thomas Bernhard non permette mai che ci si adagi in un solo punto di vista. Niente è vero e niente è falso. Allo stesso tempo pare incarnare il tempo sacrosanto della rabbia che si arma contro la stupidità, la prepotenza e il conformismo. L’odio verso la sua terra, nella quale ha sempre voluto tornare, per il suo popolo, per le meschinità e i crimini degli umani e degli artisti in particolare trova nella sua opera un’espressione talmente vasta, minuziosa e perfetta da diventare una canzone d’amore, un flamenco disperato urlato in solitudine. È un odio che nasce da uno struggente desiderio di poter essere contraddetto. La stessa geniale malattia maniaca che traspare dalle sue pagine pare guarire quando si mette al servizio di una scrittura splendida e di personaggi dietro i quali si intravede la sua maschera irrequieta. I suoi eroi del male, sconfitti, falliti in apparenza, per sempre affabulanti, sembrano antichi personaggi della tragedia greca e come tali, ingenui, crudeli, tremendi e di pietra.
In una casa austera impolverata dagli anni, con finestre socchiuse verso un esterno che li affascina e spaventa con il suo continuo mutare, i fratelli Rudolf, Vera e Clara ripetono le rigorose geometrie di abitudini che ne costituiscono l’identità. È una tana, un’arena di combattimento, un carcere e una culla. Conservano gli oggetti e gli abiti come amuleti rituali del passato, mentre i gesti diventano danza e le parole musica, nonostante pensino che sia loro preclusa la salvezza che vedono nella musica e nell’arte.
I tre paiono trovare una ragione di vita soltanto nel morboso incatenarsi l’uno all’altro, fantasmi che sbiadiscono se lasciati in solitudine, immersi in fiumi di parole che suonano autentiche eppure si contraddicono e disorientano. Le parole e il loro ritmo sono pura energia che affascina, travolge, violenta, lenisce, si erge a protezione contro il vuoto e il pur desiderato cambiamento, contro la morte. Attraverso la ripetizione, gli Höller, senza altri congiunti e discendenze, ricompongono il proprio ritratto immobile nonostante lo scorrere del tempo, trasformando il reticolato dei gesti quotidiani in un racconto epico della loro esistenza e incastonando con caparbia presunzione il proprio mito nella grande storia che soltanto in apparenza li ha risparmiati.
Rudolf e Vera appaiono come fanatici devoti ad una delle ideologie più folli e criminali della storia, mentre Clara, nella sua quasi muta opposizione, sembra votata ad una diversa fede politica che pure non si esime da atti di inconsulta violenza. Eppure l’autore ce li rende vicini, simpatici, comici, a tratti quasi teneri, proprio rivelandone la miseria, l’orrore, l’aridità. Evoca un’infanzia e un’educazione rigide e inquietanti, analizza il loro desiderio di un luogo protetto dove trovare pace fino ad arrivare alla disperante ed esilarante esposizione delle loro contraddizioni che li rivela eterni bambini, per quanto terribili e crudeli. Nella sua solitudine, Bernhard compie l’atto alchemico che trasforma il dolore in arte e la memoria in scrittura, regalandoci la possibilità di intuire come eventi tremendi e incomprensibili per la ragione possano continuare ad accadere nella storia di tutti. E dopo avere evocato gli incubi più potenti del secolo, basta il semplice incrinarsi di un piccolo equilibrio, fragile come i cristalli di famiglia, per trasformare il dramma in farsa.
Il 7 ottobre, anniversario del compleanno di Himmler, Rudolf Höller, giudice del tribunale ormai prossimo alla pensione ed ex ufficiale delle SS, celebra regolarmente la ricorrenza con una cena allestita con cura da sua sorella Vera, amante incestuosa e musa devota, alla quale partecipa anche Clara, la sorella minore inferma, ostile ma complice, vittima e al tempo stesso carnefice dei suoi fratelli.
Tra recriminazioni incrociate, rievocazioni di memorie d’infanzia e di guerra, ridicole mascherate, brindisi spettrali e un sinistro album fotografico risfogliato anno dopo anno, si consuma un gioco rito fuori tempo che precipita verso un finale sospeso tra dramma e tragica ironia, elementi di cui è intrisa tutta la commedia stessa, definita da Benjamin Heinrichs “il più complicato, il più sinistro, il testo migliore di Bernhard”.
Rudolf Höller, il bell’uomo del tribunale, un vero soldato, immagine ideale del tedesco, intransigente, acuto, inflessibile, spietato, volgare, capace di tutto, esausto, malato.
Vera Höller, brava sorella, prode fanciulla, cara, buona, amata, falsa e bugiarda, perversa, abietta, paziente, ammirevole, coraggiosa, la migliore, la più forte di tutti noi.
Clara Höller, paraplegica orribile, cupa, guastafeste, ingrata, spudorata e infame, muta e implacabile, pazza fanatica, la più intelligente, l’assassina di famiglia.
Da molti anni pensavamo con cautela a questo autore schivo, capace di leggere in profondità l’animo umano e la storia e di registrarne le contraddizioni fino a farle esplodere in tragedia e in riso raggelato, affascinati dalla potenza della sua scrittura ironica, tagliente, asciutta: una sfida irresistibile. Attraverso i suoi testi, carichi di odio e di amore verso il teatro e gli attori, irti al tempo stesso di ostacoli e di opportunità, abbiamo avuto l’occasione di vedere molti artisti alla prova. Ora tocca a noi saltare…
foto Luca Dal Pià
foto Marco Caselli Nirmal