PROCESSO A MEDEA
di Maria Letizia Compatangelo
regia Elena Bucci e Maria Letizia Compatangelo
venerdì 20 agosto, Belvedere di Custonaci
domenica 22 agosto, Teatro Antico
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regia Elena Bucci e Maria Letizia Compatangelo
con Elena Bucci
musiche Germano Mazzocchetti
a cura di Raffaele Bassetti
luci Max Mugnai - servizi organizzativi Isabella Costa - servizi amministrativi Emanuele Condorelli - produzione Gianmarco Piccione - comunicazione Laura Rondinella - ufficio stampa Maria Enza Giannetto - media partner Radio Zammù - coordinamento Rossella Messina
produzione Teatro della Città con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Siciliana
con la collaborazione de Le belle bandiere - si ringrazia il Teatro Comunale di Russi
Teatri di Pietra 2021
giovedì 5 agosto, Anfiteatro di Sutri
sabato 7 agosto, Teatro Romano di Volterra
venerdì 20 agosto, Belvedere di Custonaci
domenica 22 agosto, Teatro Antico
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Come
recita il titolo, questo monologo ha a che fare con la giustizia e con
il mito e sul perché, su Medea più che su altri personaggi del mito,
forse anche più di Edipo ed Antigone (che hanno peraltro molto a che
fare con il concetto stesso di giustizia: umana, naturale e divina), si
sia scritto e si continui a scrivere nei secoli in modo incessante. La
storia di Medea sembra un baratro sul quale tutti continuiamo ad
affacciarci inorriditi per arretrare subito dopo, cercando di
cancellarlo. Forse perché il sentimento materno – molto enfatizzato
dalla società patriarcale – non tollera questa opzione. O forse perché
la Grande Madre, la cui memoria è ancora viva nel genere umano, non
ammette tra le scelte possibili quella di Medea. E infatti su Medea
hanno scritto essenzialmente gli uomini. Quando sono le donne a
scrivere, è palese e quasi naturale, ineludibile, il tentativo di
edulcorare e trovare giustificazioni che non possono esserci. È un
personaggio grande, immenso, che travalica il mito e al quale, al di là
di ogni considerazione personale, l’autrice ha ritenuto giusto
attribuire lo status di individuo. Con le sue colpe e la sua verità. La
Medea di Maria Letizia Compatangelo è una Medea tormentata, che si
interroga. È stanca di tanto parlare della sua vicenda e vorrebbe solo
farla finita.
Una Medea moderna. Non una reinterpretazione: è proprio lei, quella Medea, che non rinnega e non nega ciò che ha fatto e vive nel nostro tempo. Una regina millenaria che non può morire, sinché il ricordo delle sue azioni rimarrà vivo tra i viventi. Una donna delusa e disincantata, che torna lirica e appassionata solo quando parla del giovane greco dai capelli chiari e lo sguardo da eroe sventurato, di come se ne innamorò perdutamente e lo salvò, dei tempi felici del viaggio su Argo. Una donna che ha imparato molto nel corso dei secoli e che ora si interroga con distacco e ironia; provoca e analizza in modo molto moderno, certo, ma non c’è da stupirsi, essendo arrivata sino a noi. Suo malgrado.
Ma è stato veramente così?
Oggi esige il suo processo. È lucida, analitica, pungente: una Medea che anela soltanto il silenzio, una parola finale, condanna o assoluzione, anche a costo di essere scaraventata nel Tartaro.
Ma si renderà conto, alla fine, del perché questo non è possibile. E che è stata proprio lei ad accendere la miccia di un incendio che da allora continua ad ardere e brucerà sinché gli esseri umani avranno memoria.
Una Medea moderna. Non una reinterpretazione: è proprio lei, quella Medea, che non rinnega e non nega ciò che ha fatto e vive nel nostro tempo. Una regina millenaria che non può morire, sinché il ricordo delle sue azioni rimarrà vivo tra i viventi. Una donna delusa e disincantata, che torna lirica e appassionata solo quando parla del giovane greco dai capelli chiari e lo sguardo da eroe sventurato, di come se ne innamorò perdutamente e lo salvò, dei tempi felici del viaggio su Argo. Una donna che ha imparato molto nel corso dei secoli e che ora si interroga con distacco e ironia; provoca e analizza in modo molto moderno, certo, ma non c’è da stupirsi, essendo arrivata sino a noi. Suo malgrado.
Ma è stato veramente così?
Oggi esige il suo processo. È lucida, analitica, pungente: una Medea che anela soltanto il silenzio, una parola finale, condanna o assoluzione, anche a costo di essere scaraventata nel Tartaro.
Ma si renderà conto, alla fine, del perché questo non è possibile. E che è stata proprio lei ad accendere la miccia di un incendio che da allora continua ad ardere e brucerà sinché gli esseri umani avranno memoria.