SVENIMENTI

un vaudeville
dagli atti unici, dalle lettere e dai racconti di Anton Cechov

progetto, elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso

interpreti Elena Bucci, Marco Sgrosso, Gaetano Colella

disegno luci Loredana Oddone - drammaturgia del suono Raffaele Bassetti, Franco Naddei - macchinismo e direzione di scena Viviana Rella - collaborazione ai costumi Marta Benini - palchetti Stefano Perocco di Meduna - cura Nicoletta Fabbri - distribuzione Emilio Vita

produzione CTB Teatro Stabile di Brescia - Le belle bandiere
con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comune di Brescia, Regione Lombardia, Provincia di Brescia - con il sostegno di A2A e Fondazione ASM - con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Comune di Russi

debutto: 18 novembre 2014, Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri, Brescia

Entriamo nel labirinto creativo di Anton Cechov guidati dalle lettere che l’attrice Olga Knipper, sua moglie, continua a scrivergli anche dopo la morte, in un dialogo ininterrotto che vuole rievocarne presenza e voce.
La drammaturgia intesse gli atti unici con visioni tratte dai racconti, irruzioni di frammenti di altre opere, lettere che l’autore scambiò con persone care, scrittori e compagni di lavoro. Ne emerge il ritratto pieno di contrasti di un uomo incantevole e complicato, medico per vocazione e scrittore per passione, affettuoso e intelligente osservatore degli umani, instancabile e gentile difensore degli ideali, amante della vita tumultuosa del teatro ma anche della completa solitudine, sempre curioso della vita nelle sue variabili forme. Gli attori ne inseguono l’affascinante poliedricità attraverso continue trasformazioni e cambi a vista. Diventano di volta in volta compagni del Teatro d’Arte, fantasmi, eteronimi dell’autore, evocazioni di personaggi e testimoni, accompagnati dalla danza di fragili sipari e dal ritmo della luce e della drammaturgia del suono.

GLI ATTI UNICI
Finalmente incontriamo Anton Cechov, delicato e spiritoso, lieve e rivoluzionario.
Partiamo da una fantasia in trio incentrata su alcuni dei suoi formidabili Atti Unici, operine che lui stesso scherzosamente definiva ‘vaudeville volgarucci e noiosetti’ e al cui straordinario successo assisteva stupito, nuvole di puro teatro, ritmo ed esilaranti invenzioni che illuminano la solitudine malinconica dei suoi antieroi, le ridicole debolezze di noi tutti, la misteriosa tessitura dei rapporti, le utopie, la trasformazione veloce di un mondo, lasciando intravedere le visioni dei capolavori a venire. Affascinati dall’equilibrio tra farsa, commedia e tragedia che si respira nel suo vivace universo, ci immergiamo negli esilaranti bisticci tra Lomov e Natal’ja Stepanova, spiati dal vecchio padre di lei Cubukov, de La domanda di matrimonio, dove un reciproco e furioso desiderio di nozze si impiglia nelle testarde recriminazioni sui confini delle proprietà; o nell’appassionato scontro frontale, in bilico tra insofferenza ed attrazione erotica reciproca, de L’orso, dove l’inquieta vedova Popova sfida a duello il ruvido creditore Smirnov, vittima di un’insolvenza del birichino marito defunto, sotto lo sguardo sgomento del fedele maggiordomo Luka, che già ricorda il grande Firs de Il giardino dei ciliegi. Respiriamo l’atmosfera surreale di altri piccoli gioielli come Fa male il tabacco.
I personaggi ruvidi e vitali degli atti unici, che litigano sui confini campagnoli per vincere l’imbarazzo di una domanda di matrimonio, si sfidano a duello perché non sanno parlarsi, intrecciano ad un’improbabile conferenza scientifica le buffe confessioni di un’esistenza sprecata, assomigliano così tanto a noi che ci fanno ridere e disperare e testimoniano della maestria di Cechov nel rendere mitica la realtà quotidiana attraverso la genialità dei particolari. Ci addentriamo nel suo mondo creativo cercando di portare in scena anche alcune parti del lavoro di scrittura e di teatro che di solito restano nascoste. Costruiamo lo spettacolo come se fosse un film, blocchiamo a tratti i vertiginosi dialoghi di quelle bolle di puro teatro che sono gli Atti Unici per osservare i personaggi, immobilizzati come in una fotografia, ed interrogarli, per evocare Cechov nella sua solitudine della villa di Yalta o chiuso in sé dopo il primo infelice debutto del Gabbiano, quando giurò che non avrebbe mai più scritto per il teatro. Ascoltiamo i suoi pensieri nella varia prosa delle lettere, che ci permette di immaginare il vivido scambio tra la compagnia, l’autore vivente, registi e pubblico, il fitto dialogo con la moglie, per la quale ebbe un amore assoluto ma vissuto quasi sempre a distanza a causa della sua malattia e degli impegni teatrali di lei, fatto anche di consigli di teatro imperativi o imploranti, mancati incontri, sospirate attese. Trapela, dal ricco e intenso serbatoio degli scambi epistolari, non soltanto la quotidianità bella e faticosa, ma anche l’intero ritratto di un’epoca.
Si accende una luce su questo artista pieno di contrasti, un malinconico che aveva innato il senso della comicità, che in campagna rimpiangeva lo scintillio di Mosca e San Pietroburgo, denunciava la mancanza di un luogo tranquillo per sé, ma amava scrivere sentendo nella stanza accanto gli strepiti di una famiglia d’origine anomala e stravagante. Senza cadere nella tentazione di individuare un rapporto di causa ed effetto tra vita e opera, osserviamo come al suo crescente desiderio di essere altrove rispetto alla realtà corrisponda una capacità di osservazione sempre più nitida, compassionevole e feroce.

IL MONDO CECHOV
Accogliamo nella drammaturgia tutte le numerose suggestioni che ci arrivano:

  • dalla biografia dell’autore alla quale hanno contribuito meravigliosi scrittori come Irene Nemirowskj
  • dai racconti – una mole impressionante, ricca di ritratti e situazioni dei quali si nutrono le opere teatrali e che cominciò a scrivere per poche copeche nella misura di 30 righe con l’impegno a divertire il pubblico popolare delle riviste per arrivare a disegnare pagine perfette
  • dalle lettere – una densa e affascinante corrispondenza con amici, colleghi, editori, familiari e con la moglie, Ol’ga Knipper, apprezzata interprete delle sue opere al Teatro d’Arte di Mosca diretto da Stanislavskij, che continuerà a scrivere ad Anton per mesi dopo la morte di lui, prolungando oltre la vita la consuetudine alla complicità ma anche all’assenza
  • dalle altre opere cosiddette maggiori – le cui intuizioni e temi attraversano tutta la produzione dello scrittore
SVENIMENTI
In omaggio a Vselovod Mejerchol’d (che aveva intitolato Trentatré svenimenti la sua rilettura di tre atti unici di Cechov) abbiamo scelto come titolo la parola Svenimenti, che allude ai punti di crisi emotiva e di perdita di controllo dei personaggi, urlo o gioia, pianto o riso, comunque resa e abbandono all’incomprensibile emozione della vita. Tenteremo di scoprire il mistero del fascino lieve di questi uomini e donne che, senza avere una dimensione eroica, restano impressi nella memoria per la loro autenticità, nutriti di speranze o ammalati di sconfitte, tragici contro voglia, ridicoli senza consapevolezza, una condizione umana universale che pochi altri autori hanno saputo descrivere con tanta forza e semplicità.

‘Fra due o trecento anni la vita in questo mondo sarà meravigliosa, fantastica. L’uomo ha un’assoluta necessità di una vita simile. Voi direte: ma se questa vita ancora non c’è! Appunto! Bisogna sognarla, aspettarla, anticiparla, avvicinarne i tempi! È proprio per questo che l’uomo deve vedere e sapere molto…’ (da Tre sorelle, Versinin)


foto Elena Bucci

 
foto Luigi Angelucci

 
 
foto Umberto Favretto

 
foto Gianni Zampaglione

 
foto Patriza Piccino